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Alessandro Baricco, il magico mondo di Quinnipak, di Elsa Baldinu
Trent’anni dall’uscita di "Castelli di rabbia" (1991)
17/02/2021, 10:52 | Arte e CulturaPiù irraggiungibile dell’Isola che non c’è, più seducente del Paese dei Balocchi, più magica del mondo di Alice: Quinnipak è una realtà ai confini dell’umana comprensione, un paradosso a cui credere con la fiducia dei bambini.
Frutto di un visionario Alessandro Baricco, la ridente cittadina di Castelli di Rabbia è un calderone di utopie, una spugna zuppa di storie; un cuore pulsante dal meccanismo contorto, un organismo che fa dell’impossibile l’unica, indiscutibile possibilità di esistere.
Umanofoni, palazzi di solo vetro, tubi che conducono versi della Bibbia: l’invenzione è la linfa vitale di un universo alternativo, che rifugge la mediocrità come la più insidiosa nemica. La novità smentisce la tradizione con straordinaria e disarmante semplicità, lo stupore si candida alla presidenza; a Quinnipak non c’è spazio per le banalità, né tempo per cedere alle lusinghe della concretezza. Il sogno è il carburante di una fabbrica che, senza sosta, genera chimere, produce illusioni: poco importa se, alla fine, si incappa nel fallimento. Elisabeth ne è la prova lampante: ciò che importa davvero non è la meta, ma il viaggio; d’altronde, quale slogan migliore per l’inaugurazione di una locomotiva?
Le vite che popolano Quinnipak risentono della magia del luogo, sguazzano nel sortilegio. Sono uomini dai principi assurdi, donne dalle reazioni incoerenti, personalità complesse al limite della follia; eppure, come spesso accade, ai folli è riservato il significato nascosto, più autentico. Così, a Quinnipak si può accogliere un figlio sconosciuto senza fare domande, e non darsi pace se la banda in festa manca un accordo; si può essere vedove senza sposarsi mai, o morire di meraviglia; a Quinnipak si può aspettare l’arrivo di un gioiello, sempre lo stesso, per avere certezza di un ritorno; si può annotare la vita sulle pagine bianche di un quaderno viola, e sperare di catturarne il senso; a Quinnipak si può leggere su un treno in corsa per salvarsi dalla velocità del mondo, e affidarsi a un ritaglio di giornale per cambiare rotta; si può partire per l’America senza un soldo in tasca, e fare l’amore senza amore, per assicurarsi l’altra parte dell’oceano; si può partecipare all’asta dei propri beni con rassegnata curiosità, e impazzire per una musica nella testa; si può sperare che la giacca che si indossa vesta sempre larga, così da non diventare mai adulti.
Quinnipak è un posto, ma anche un viaggio che ciascuno fa, nell’intimità della propria solitudine, alla ricerca di un senso; è scoprire la propria nota, intuire la soluzione che porti a casa il suono; è un lembo di pelle chiara che cattura lo sguardo, è il primo incontro, l’ultimo saluto; è iniziare a pettinarsi per via di un sentimento, è ascoltare il temporale, in piena notte, e uscire fuori, sotto la pioggia; è volteggiare su se stessi, a occhi aperti, con la testa ricurva all’indietro; è abbandonare tutto per seguire un destino che, in fondo, è già stato scritto.