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"Marzo 1821" di Alessandro Manzoni, inno alla libertà, di Pierfranco Bruni
14/03/2021, 17:10 | Arte e CulturaMarzo 1821. Alessandro Manzoni è oltre la storia. L’immaginario che prefetizza ciò che chiamiamo storia. A questo immaginario Manzoni dedica il suo “canto libero” per una Nazione oppressa. Dedicata al poeta tedesco Theodor Franz Körner, Manzoni sottolinea lo spirito di un popolo e di una civiltà che si ribella.
Ci sono alcuni riferimenti che non vanno trascurati. Il senso dell’italianità, anche in letteratura, non può che viversi come profondo senso del radicamento non solo ad una idea di cultura ma ad una forte consapevolezza di appartenenza. La metafora del Paese, del luogo natio, delle radici non assume soltanto la visione o la dimensione di un paesaggio geografico. Ma diventa piuttosto un paesaggio dell’anima.
È una poesia, in fondo, rivoluzionaria. Un Inno in Ode.
“Han giurato: Non fia che quest’onda
Scorra più tra due rive straniere:
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!”.
La patria lontana di Enrico Corradini è un messaggio che trasmette significati e valori e ci richiama appartenenza. Ippolito Nievo: Le Confessioni di un Italiano è il viaggio nel cuore del sentimento. Non si può essere cittadini del mondo senza prima essere memoria vivificante nel luogo dell’appartenenza. Ovvero nel luogo dove si è nati, dove si è stati, dove allegoricamente si ritorna.
Il sentimento di Nazione è anche nella centralità di una storia con la sua tradizione, con la sua identità, con l’affermazione di un concetto aprioristico che è nella difesa di quei valori della trasmissione che non ci fanno sentire estranei. L’estraneità porta a sentirci stranieri. Ma non è un concetto astratto. Si avverte quando non si ha o quando si perde il senso di comunità.
Ognuno di noi fa parte di una comunità che è fatta sì di espressioni etiche ma anche di esperienze, di testimonianze e di tradizioni. Si pensi alle grandi diaspore che si sono consumate soprattutto in questi decenni. Nella diaspora chi ha acquisito l’orizzonte dell’appartenenza lo lega sempre di più a ciò che è stato. La storia non è solo cronaca.
La memoria, in Manzoni, si fa sacralità di un legame, di una unione. La grande memoria dei popoli sta proprio nel riconoscere il legame con la provenienza. Ma questo legame bisogna tutelarlo non in termini esasperanti (il nazionalismo è un’altra cosa) ma attraverso quella consapevolezza storica che segna i tracciati delle civiltà.
L’italianità, in fondo, è consapevolezza storica (Dante lo sottolinea, Manzoni lo testimonia e D’Annunzio canta: "Italia, Italia, sacra alla nuova aurora, con l’aratro e la prora!) che si fa sentimento. Ci allontana dalla desertificazione perché si raccoglie nel sentire delle civiltà.
Questo senso dell’italianità nella letteratura non è solo un sentiero tematico in quella dimensione del romantico ma diventa linguaggio, espressione, essenza di una partecipazione.
Si ascolta Ugo Foscolo: "Italia, Italia con eterei radi/Su l’orizzonte tuo torna l’aurora/Annunziatrice di perpetuo sole".
Da cosa viene ad essere rappresentato tutto questo? Dalla simbolicità. Ovvero dai simboli che rappresentano i linguaggi e la storia. I simboli di una appartenenza sono dentro il sentimento stesso perché sono a priori dentro di noi, vivono con noi, sono parte integrante di un comune sentire che significa chiaramente affermazione di valori condivisi e non di valori presunti.
La bandiera. La Patria. L’inno. La comunità. L’unità. Sono appunti i simboli di una appartenenza che ci lega a quella condivisibilità di valori e di sentimenti che accomuna l’essere fedeli con il partecipare la fedeltà. L’appartenenza è fedeltà e la si deve vivere con questo spirito. Da Manzoni a Carlo Levi. Ma il post Risorgimento non è un Risorgimento finito. Piuttosto si dovrebbe parlare, e se ne parla, di un Risorgimento incompiuto con tutte le varie sfaccettature.
Giuseppe Ungaretti è incisivo al massimo nei suoi versi dal titolo "Italia": "Sono un poeta/Un grido unanime/Sono un grumo di sogni". La presenza del personaggio di Ulisse (lo si incontra spesso) non ha soltanto una simbolicità storica o meglio di un viaggio storico. Ha piuttosto una simbolicità mitica che lega la partenza da Itaca con il ritorno ad Itaca. Cosa è in Ulisse che trionfa alla fine? E’ appunto il
sentimento dell’appartenenza che si riassume nell’orizzonte del ritorno. E in questa ulteriore metafora prende corpo l’archetipo della casa, della moglie, del figlio, della terra.
Il legame con la terra è il legame con ciò che si è stati. E tutto questo si raccoglie nella dimensione di ritrovare la famiglia. Ma la famiglia significa comunità e comunione, significa sacralizzare un rapporto, significa l’abbandono del deserto – mare (per Ulisse ma per ognuno di noi e in generale per quella letteratura del viaggio – ritorno) per riconquistare il luogo natio. Quel luogo natio che diventa il sapersi raccogliere intorno al focolare domestico direbbe Mircea Eliade.
È Manzoni che ci canta:
“O stranieri! sui vostri stendardi
Sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
Un giudizio da voi proferito
V’accompagna all’iniqua tenzon;
Voi che a stormo gridaste in quei giorni:
Dio rigetta la forza straniera;
Ogni gente sia libera, e pera
Della spada l’iniqua ragion”.
Ci sono metafore che rivestono una loro particola importanza. L’italianità è nella eredità di un Occidente che si è sempre aperto alle culture dell’Oriente creando delle porte culturali abbastanza consistenti. L’identità nazionale è un codice ereditario. L’appartenenza dunque. Si appartiene, comunque, ad un paese se si ha la consapevolezza di portarsi dentro l’orizzonte della patria. Il
paese per eccellenza. Quel paese che costituisce, pavesianamente, il non esser soli, il sentirsi partecipe e il partecipare alla vita dell’agorà. Si è universale, dunque, se non si abbandonano le origini e il ritorno.
Ma appartenere significa portarsi dentro un humus che ci lega al nostro sapere di essere radicati. Questo si avverte e si vive attraverso un rapporto tra memoria e lontananza. Pur stando lontani non c’è separazione con la terra delle origini. Con quella terra ci sono sempre valori condivisi. Altrimenti si corre il rischio di far prendere il sopravvento al cosiddetto sradicamento.
“Cara Italia! dovunque il dolente
Grido uscì del tuo lungo servaggio;
Dove ancor dell’umano lignaggio
Ogni speme deserta non è;
Dove già libertade è fiorita,
Dove ancor nel segreto matura,
Dove ha lacrime un’alta sventura,
Non c’è cor che non batta per te”.
Se persistono i valori comuni, come suggerisce appunto Manzoni, si sconfigge la solitudine dello sradicamento. Si può anche sentirsi spaesati stando altrove ma mai sradicati se il sentimento dell’appartenenza è dentro di noi. Il filtro di questi passaggi ci è dato dalla fedeltà alla tradizione. Infatti è la tradizione che cuce le maglie della memoria – lontananza. In questi termini il sentimento di Nazione diventa non solo orgoglio di Patria ma ancora una volta si fa orizzonte di appartenenza.
Su queste linee la letteratura memoria è letteratura che ritrova la sua valenza etica e cosmica e si centralizza sulla figura dell’uomo. L’uomo che assorbe le istanze esistenziale individuale e quelle collettive e si ritrovano nella partecipazione della condivisibilità. La letteratura è fatta di valori. Per l’Italia occorre vincere!
“Per l’Italia si pugna, vincete!
Il suo fato sui brandi vi sta.
O risorta per voi la vedremo
Al convitto de’ popoli assisa,
O più serva, più vil, più derisa
Sotto l’orrida verga starà”.
Valori trasmissibili che durano. L’identità nazionale è dentro il Risorgimento e non si ferma né al 1861 e tanto meno a Porta Pia. È un processo che continua anche nella letteratura che significa tradizione, lingua, antropologia. Proprio in virtù di ciò l’idea dello Stato Unitario non è soltanto un fattore storico ma profondamente radicato nei valori di una civiltà. Le civiltà sopravvivono soltanto se l’identità non si perde. Manzoni è sacro come la sua Ode.
Foto nel corpo dell'articolo: Pierfranco Bruni; il testo dell'Ode mazoniana