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Arte e cucina : un binomio antico (seconda parte)
Dal Barocco al Novecento, tra pittura e musica
13/06/2014, 17:50 | Arte e Cultura
Dopo la Quiete, il Gesto; dopo il Rinascimento, il Barocco. Movimento, contrasti, ombre e luci in lotta, tensione, dramma: tutto questo lo troviamo nel più grande pittore barocco, Michelangelo Merisi da Caravaggio. La natura morta -nata a pieno diritto nel Barocco, e che fa sì che cibi e oggetti diventino i protagonisti e non una aggiunta nell'immagine- venne frequentata volentieri dal nostro turbolento artista: le due versioni della 'Cena in Emmaus', il 'Bacco' o la 'Canestra di Frutta'. Ma, se osserviamo attentamente questo quadro (unica natura morta strictu sensu del Caravaggio) osserviamo che la frutta è marcia, bucata, macchiata; e che le foglie sono rotte e morsicate dai vermi. Come mai un artista così dotato ha scelto di rappresentare la "realtà" (ricordiamo che ogni artista si sceglie la sua parcella di realtà da rappresentare) nelle sue sfaccettature più basse, più luride, più violente e deprimenti? L'autore di queste righe, artista anch'egli, si dissocia del comune applauso verso Caravaggio, artista che preferì glorificare un mondo di taverne di bassifondi, di malviventi di grezza mascolinità mischiati a equivoci fanciulli la cui rappresentazione sfiora la pedopornografia; e che dimenticò deliberatamente che la realtà, oltre a triste e brutale, può essere pure lieta e bella.
E qua troviamo Johann Sebastian Bach. Serio, grandioso e mistico (a dir dei suoi nemici: un mummificato matematico parruccone) il Maestro Supremo della Musica si divertì a glorificare la sua bevanda favorita nella graziosissima e deliziosa 'Kaffeekantate'. Accanito fumatore e bevitore di caffé -cose che nel Settecento erano considerate quasi come tossicodipendenza-, Bach fa con questo ironico e raffinato pezzo una lode al caffé come simpatico alleggerimento delle tribolazione quotidiane; e ci dimostra che i grandi uomini, se veramente grandi, sono in grado di apprezzare le gioie quotidiane, di sorridere e di ironizzare su se stessi.
Il Barocco è pure cerimonia. Michel-Richard Delalande pubblica nel 1703 les 'Symphonies pour les Soupers du Roy', composte come sottofondo musicale ai pasti di Luigi XIV, re che fece della propria vita una continua performance teatrale. Con grande furbizia Delalande sottotitola la 'Grande pièce en sol' de la Quinta Suite così: "La Grande Pièce Royale. 2° Fantasie ou Caprice que le Roy demandent souvent", mettendo come testimonial delle proprie musiche nientemeno cha il Re Sole stesso. Nello spirito pomposo e regale di Delalande, Georg Philipp Telemann chiamò le sue grandiose suites 'Tafelmusik' ('Musica da Tavola') forse per farci capire che la musica deve non solo essere ascoltata, ma anche degustata come se fosse cibo prelibato.
Romantico: esile, pallido, Chopin tisico sul pianoforte, Violetta/Traviata che entra languida e consumata nelle gelide braccia della morte. In un periodo dove l'unico cibo permesso all'Arte erano gli spesso amari mieli dell'Amore, si trovano qua e là testimonianze di una visione meno melodrammatica e più umana -sebben sempre spiritualizzata- dell'imprescindible e umano bisogno di alimentarsi. Franz Schubert, nella sua canzone 'Die Forelle' su testo di Christian Friedrich Daniel Schubart (tutti conoscono il meraviglioso 'Quintetto della Trota', ma pochi hanno ascoltato lo spiritoso lied che ne fornì il tema), fa una frizzante e originalissima metafora musicale della trota che, vittima della sua spensieratezza, finisce neoclassicamente in padella. Da parte sua Cèsar Franck, del quale si è detto che le sue musiche sono la prova concreta dell'esistenza di Dio, fu coerente sia con la sua intensa fede cattolica sia con la sua reinterpretazione delle vecchie forme musicali: partendo delle'Elevazioni' composte per uso liturgico (ci viene in mente il grandissimo Girolamo Frescobaldi) ci regalò il mottetto sublime 'Panis Angelicus', che tramuta in suono il mistero del pane che diventa Cristo, il miracolo della Transustanziazione. Ascoltatelo, e all the rest is silence.
Dopo il mondo ideale, il mondo reale: il Realismo. Ma non il realismo provocatorio, eccentrico e sfidante di Caravaggio ma il realismo sociale di Courbet, Zola o Dickens dove si parla, più che del cibo, della mancanza di cibo. Il mondo operaio e le lotte di classe diventano tema centrale dell'arte. Ma sarà un artista eccezionale, tanto radicato nella realtà più concreta quanto pieno di ideali e di sogni, che fornira i capolavori assoluti del secondo Ottocento: Vincent Van Gogh. L'uomo che scrisse nella sua ultima lettera: "Per la mia arte rischio la vita, e la mia ragione è quasi crollata in questa impresa" e che difatti diventò pazzo e morì suicida, riuscì a tirar fuori dai frammenti più umili e spiccioli della realtà sfaccettature di bello e di sublime che solo può percepire un artista di una sensibilità sovraumana. Pensiamo soprattutto ai 'Mangiatori di Patate', un dipinto che non risparmia nessun particolare della estrema miseria dei minatori del nord dell'Olanda, ma che sveglia in noi un senso di raccoglimento e di intensissimo rispetto davanti al Raduno e al Pasto. Questo capolavoro splendido è, a parere nostro, la massima rappresentazione della sublimità del mangiare come atto conviviale, uguale solo alla 'Santa Cena' di Leonardo.
Parlare del Novecento è parlare delle Grandi Guerre e della Guerra Fredda, del conflitto tra ideologie e il crollo delle certezze, ma anche della democrazia e del pluralismo, dei diritti umani e la globalizzazione, le conquiste tecnologiche e il fiorire di nuove scienze. Passeggiamo un po' tra le terre della poesia latinoamericana, e vediamo come il peruviano Cèsar Vallejo, morto di stenti a Parigi nel 1938, descrive nei suoi 'Poemas Humanos' la fame del proletariato disperato che, ahilui, conosceva bene. Passiamo all'epicureo Pablo Neruda, che nelle 'Odas Elementales' eleva l'umilissima cipolla alla categoria di Soggetto Poetico con maiuscole. E fermiamoci ad Ana Enriqueta Teràn -a 94 anni il più grande poeta vivente del Venezuela- il cui 'Libro de los Oficios' ('Libro dei Mestieri') tramuta, giustamente tramite il mestiere di Poeta, ogni essere ed atto in rituale sacro: non più il pane, ma il Pane. Come diceva un maestro Zen: "Ogni atto e ogni cosa sono importanti; basta affrontarli in maniera importante".
(2. continua)