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La fiamma pericolosa dell’amore
Anime di vetro. Falene per il commissario Ricciardi Il nuovo romanzo di Maurizio de Giovanni
29/06/2015, 15:14 | Arte e CulturaOra la notte era arrivata a quell’attimo di assoluta sospensione che precede la luce. Era diventato il momento in cui Ricciardi, sveglio e disperato, sapeva di doversi confrontare con se stesso e con la propria solitudine, senza difese e senza l’intermediazione della vita. Il momento in cui doveva essere sincero con se stesso. Dalla finestra arrivò la canzone lontana, resa più chiara dal vento che ne trascinava il suono. Distinse qualche parola, era la voce di un uomo: in dialetto, ma comprensibile. Vattene, piccola pazza. Va’, piccola falena, e torna a quest’aria così fresca e bella.
Napoli, settembre 1932. Il caldo estivo stenta a cedere il passo all’autunno.
Disperato per la perdita della adorata tata Rosa, il commissario Luigi Alfredo Ricciardi tenta di allontanare la morsa del dolore gettandosi a capofitto nel lavoro, ma la Regia Questura vive un momento di relativa tranquillità e l’attività investigativa langue.
Ad interrompere la quiete ci pensa la contessa Bianca Borgati dei marchesi di Zisa. Suo marito, il conte Romualdo Palmieri di Roccaspina si è dichiarato colpevole dell’omicidio dell’avvocato Piro e si trova ora rinchiuso nel carcere giudiziario di Poggioreale in attesa del processo.
L’altera e indomita nobildonna, da sempre convinta dell’innocenza del marito, chiede a Ricciardi, conosciuto per caso in una precedente indagine, di aiutarla a scoprire il vero colpevole.
Il commissario inizia, in incognito e non autorizzato, la difficile investigazione negli ambienti della nobiltà e dell’alta borghesia cittadina coadiuvato, come di consueto, dal fido brigadiere Maione, ma continui e inaspettati colpi di scena lo porteranno, come non mai, al centro di un’intricata vicenda sullo sfondo di amori sofferti e contrastati.
Il sipario si apre in un pomeriggio di fine estate. Un fascio di luce illumina una danza di polvere che ammanta libri e veste oggetti, mentre un mandolino accarezzato racconta di falene e fiamme di candele.
Musica sì, nuovamente musica si sprigiona dalla scrittura di de Giovanni.
Ancora vivo è il ricordo delle note struggenti di Passione, che avevano chiuso il precedente romanzo In fondo al tuo cuore ed ecco che risuonano quelle di Palomma ‘e notte (Di Giacomo – Buongiovanni, 1906), un inno alla rinuncia e al sacrificio, all’amore caparbio e alla sua dolorosa privazione.
Con Anime di vetro, l’ottavo appuntamento della saga ricciardiana, inizia un nuovo ciclo narrativo, una trilogia musicale nella quale ogni romanzo vede protagonista un classico della musica partenopea e il sentimento che in essa si narra. Canzoni a contrappunto delle storie di sangue, loro stesse storie da raccontare.
Il corsivo del primo interludio sa di rassicurante consuetudine, ci sentiamo a casa in quel corsivo, sicuri di incontrare i personaggi di sempre, abitare luoghi ormai familiari, di respirare quell’aria dolce e dolente che ben conosciamo, ma presto inciampiamo in parole che lasciano intendere un prepotente cambio di prospettiva.
Seduto davanti alla notte di settembre, Ricciardi contemplava la sua nuova solitudine.
Era una compagna diversa da quella che da sempre conosceva. La solitudine precedente era rappresentata dalla consapevolezza di abitare una linea di confine; un luogo di follia e disperazione, pieno di grida di morte e di vita che vibravano solo per i suoi sensi disgraziati. La solitudine che aveva conosciuto dall’infanzia era come un sottile, perenne malessere, un ricordo di dolore che riaffiorava in continuazione per spezzare la superficie di un’esistenza che non poteva essere normale.
Ricciardi con la sua dannata solitudine, subita e cercata, sempre più in balia di indecisioni amorose e ormai solo, orfano della rassicurante presenza di tata Rosa, si presenta alla ribalta come il protagonista indiscusso. Si riprende la scena, Luigi Alfredo. E se la riprende alla grande.
Anche il Fatto, la sua straordinaria capacità di percepire le parole pronunciate dalle vittime di morte violenta negli ultimi istanti di vita, non partecipa questa volta alla risoluzione del delitto, e la stessa Napoli, sempre così presente nelle storie passate, fa un passo indietro. Resta anch’essa in disparte, nel cono d’ombra dei comprimari, raccontata da uno sprazzo d’azzurro e dal vibrare del mandolino, canto della città.
È una storia, un racconto. Questo posto racconta storie…le racconta parlando, suonando, cantando e anche solo coi suoi colori..
Tutto si ferma ai margini di un palcoscenico dove le luci di scena sono puntate, quasi impietosamente, solo su Luigi Alfredo, e la sua anima.
Perché come dice don Pierino,
Sapete, commissario, le anime sono fragili. Esseri bellissimi e fragili, di cristallo, lasciano passare la luce e il calore, ma non sono in grado di trattenerli. Le anime sono di vetro, e a strapazzarle troppo possono incrinarsi e dare riflessi sbagliati. Non sottovalutate l’anima, commissario. Abbiate il coraggio di guardare all’interno, la superficie è trasparente e ve lo consentirà.
De Giovanni, con la magia narrativa che gli è propria, induce il lettore a vedere gli avvenimenti attraverso gli occhi di Ricciardi, ad essere dentro i suoi pensieri e le sue emozioni, trascinato tra sofferenze e incomprensioni, quasi fosse lui, in prima persona, a raccontarli. E proprio l’essere partecipi di passioni, delle quali conosciamo origini e impedimenti, ma che non possiamo modificare, ci lascia un che di inquietudine. Viene voglia di tirarlo per la giacca, a Luigi Alfredo, chiedergli ragione del suo comportamento o offrirgli qualche consiglio.
Storia e fantasia si intrecciano in un gioco sottile, la contestualizzazione storica scandisce il tempo e conferisce concretezza alla narrazione.
L’incalzare del regime, i suoi capillari sistemi di controllo e repressione che colpiscono anche i più insospettabili, il rigido sistema carcerario, le attività di spionaggio militare che prefigurano sciagure future.
La vita quotidiana colta negli aspetti più semplici, la cura descrittiva degli abiti dei personaggi, specie quelli femminili, che delineano o accentuano il carattere di ciascuno, conferendo loro vita propria e sottolineandone debolezze e virtù.
E poi la nobiltà. Quella ricca e gaudente frequentatrice di circoli esclusivi dove le uniche attività sembrano essere l’ostentazione della ricchezza e l’esercizio del pettegolezzo, quella dei palazzi polverosi e delle mura scrostate, icone di aristocratica povertà, e anche quella celata dall’oblio, seppure inconsapevole, del barone Luigi Alfredo Ricciardi che si trova a dover fare i conti con un passato familiare dolorosamente lontano.
Una prosa fluida, ricca, alternata a brani lirici equilibrati e mai ridondanti, capace di rendere plausibile anche un’incongruenza quale il riferimento a un cesto di fiori evidentemente, e direi volutamente, fuori stagione perché la bellezza delle favole risiede proprio nell’illusione più ovvia.
Una piccola fioraia se ne stava accovacciata a terra, con davanti un paniere di viole, rose selvatiche e giunchiglie. Sorridendo, cercava di richiamare l’attenzione dei passanti con una cantilena: ciure, ciure delicate, evere addirose, ma vuje vulite bbene a quacchedune? Fiori delicati, tradusse Ricciardi, ed erbe profumate. Da regalare a chi amate.
I protagonisti delle Anime di vetro sono mutilati dell’anima, hanno sofferto e soffrono. Molto. Vivono una vita come la notte di settembre, quella dei sogni desiderati e dei sogni reali, una vita dai contorni onirici dove la realtà sfuma sempre più nell’immaginazione.
Parole affilate come lame di coltello, pronunciate o immaginate, lacrime, segrete o non trattenute, sentimenti, dichiarati o custoditi in silenzio fino a generare equivoci e vendette .
Un’indagine questa, che è un viaggio nel vetro soffiato dell’anima, non solo del commissario, ma di tutti coloro che incrocia sulla sua strada, un viaggio che tenta di dare risposte agli interrogativi sull’amore e le sue infinite declinazioni.
Perché l’amore non si scaccia via come ‘na palummella, non basta un gesto della mano a decidere della vita propria e degli altri, non basta il sacrificio, non basta la rinuncia.
Quello che si vorrebbe, che si dovrebbe. Ma che non si riesce a fare. Per fortuna, non si riesce.
Maurizio de Giovanni, Anime di vetro. Falene per il commissario Ricciardi, Torino, Einaudi, 2015, pp. 400. Euro 19,00