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"Citadelle", vademecum per la vita dell'autore de "Il piccolo Principe" , di Elsa Baldinu
Settantasette anni fa scomparve Antoine de Saint-Exupéry
02/08/2021, 10:53 | Attualità
Se colui che costruisce le fontane costruisce la loro assenza, la presenza è senza dubbio un concetto da rivedere. E non importa se le parole si contraddicono, avrebbe affermato Antoine de Saint-Exupéry, che non ha mai abbandonato questa terra, né i cieli in cui amava librarsi in qualità di aviatore: inghiottito dalle profondità del mare, egli è stato e continua ad essere come la fontana nell’aridità del deserto, distante e assente ma ancora più dolce, per colui che muore di sete, che un mondo senza fontane.
Testimone discreta e silenziosa, l’assenza non è sola nel ricordo dello scrittore di Lione: egli ha lasciato al lettore un’eredità preziosa, dall’aura metafisica: accanto ai più noti L’aviateur (1926), Le petit prince (1943) e Terres des hommes (1939), risplende un capolavoro postumo e incompiuto, un vero e proprio vademecum per la vita che – ironia della sorte – ha visto la luce quattro anni dopo la scomparsa del suo autore.
Novecentoottantacinque pagine dattiloscritte, redatte a partire dagli anni Quaranta durante il soggiorno statunitense; duecentodiciannove capitoli riposti dentro una valigia e consegnati nelle mani di un amico. Carte ora ermetiche e sentenziose, ora semplici e illuminanti, la cui coerenza muove dalle contraddizioni dell’esistenza stessa.
Nei panni di un sovrano berbero alla guida di una neonata cittadina – Citadelle (1948), per l’appunto – Tonio (questo lo pseudonimo dell’autore) sembra fondare una generazione di sudditi-lettori uniti nel culto della vita. In prima persona, con parole comuni ma soppesate, sempre più stringenti, in una spirale di senso tesa alla perfezione, egli narra l’amore, la comunione, il tempo, la pace. Con la solennità di un dio e la bontà di un padre, indica le fondamenta su cui erigere la vita.
Così niente ha senso se non vi si mischia il corpo e lo spirito: occorre sporcarsi le mani, crescere e innalzarsi, nella certezza che per vivere non serve pazienza perché non si tratta di una meta, poiché il piacere deriva solo dalla marcia. In bilico tra un avvenire da costruire e un passato da salvare, l’uomo si muove consapevole che un passo è sempre preceduto da un altro passo che lo consente e che la catena si snoda di anello in anello senza che mai uno possa venire a mancare. Se è vano e illusorio occuparsi del futuro, il presente è tempo di creazione: agire è l’unico mantra da seguire.
Ricorre l’essenziale, concetto caro ad Antoine: così, la candela non è la cera che lascia tracce, ma la luce, nè il libro è la carta o l’inchiostro, ma il significato che racchiude. E l’essenza della vita è l’amore, principio irriducibile e inesauribile, la cui ragione risiede nell’amore stesso, e si nutre di carità (quando tu ti dai, ricevi più di quanto dai. Perché tu non eri nulla e divieni). Non si è soli, su questa terra: ciascuno è nodo di relazioni, ramo dello stesso albero, pietra dello stesso tempio. Come chicchi di grano riposti nel granaio per l’inverno, bisogna affidarsi all’ignoto: vivere, insomma, allo stesso modo del bruco che non sa nulla delle ali.