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Svetlana Aleksievic apprende del Premio Nobel mentre sta stirando come Grazia Deledda mentre preparava il sugo…
“Mi sono subito sentita circondata da grandi ombre, come Bunin o Pasternak, è un sentimento da un lato fantastico e dall’altro inquietante” ha detto la scrittrice commentando il premio
09/10/2015, 17:38 | AttualitàDopo il primo del 1901 al francese Sully Prudhomme, sono tredici i Premi Nobel per la letteratura conferiti a donne su un totale di 111. Nell’ordine: Selma Lagerlof (1909), Grazia Deledda (1926), Sigrid Undest (1928), Pearl Buck (1938), Gabriela Mistral (1945), Nelly Sachs (1966), Nadine Gordimer (1991), Toni Morrison (1993), Wislawa Szymborska(1996), Elfriede Jeline (2004), Doris Lessing (2007), Herta Muller (2009), Alice Munroe (2013).
A febbraio di ogni anno l'Accademia compila una lista segreta di nomi proposti da un esclusivo gruppo che cprende professori di letteratura ed ex vincitori del premio. Quest'anno la lista comprendeva 220 nomi. A maggio la lista viene ridotta a cinque scrittori, i cui lavori vengono studiati durante l'estate dai membri dell'Accademia. Il vincitore viene tradizionalmente annunciato a metà ottobre e la cerimonia si tiene invece il 10 dicembre.
Ed adesso, 2015, Svetlana Aleksievic. Subito i giornalisti di tutto il mondo si sono scatenati sulla notizia: tradotta in più di venti paesi, la scelta dell’opera della scrittrice ucraina ha raccolto consensi, perplessità, rifiuti.
Saggista e giornalista, nata in Ucraina e cresciuta in Bielorussia, in esilio volontario a Parigi dal 2000. Ha narrato nei suoi libri il dramma del crollo dell'Unione Sovietica e del suo mito imperialista, da Incantati dalla morte al suo ultimo Tempo di seconda mano: racconto della nascita di una "nuova Russia", dopo una popolare e corale "buonanotte al signor Lenin". E poi la guerra in Afghanistan in Ragazzi di zinco, la tragedia nucleare in Preghiera per Cernobyl (e/o) con decine di interviste alle vittime della tragedia nucleare.
Svetlana, nata il 31 maggio del 1948 nella città ucraina di Ivano-Frankivsk ha iniziato come insegnante di storia, per poi diventare giornalista, dopo la laurea all'Università di Minsk tra il 1967 e il 1972. Questa sua dichiarazione non lascia dubbi sulla sua opposizione politica: "Amo la Russia, ma non quella di Stalin e Putin".
“La nostra è una cultura del racconto” ha ripetuto spesso Svetlana Aleksievic e infatti le sue opere, tradotte in oltre venti lingue, sono racconti corali che attraversano la vita di varie generazioni di sovietici.
La guerra non ha un volto di donna (di cui Elisabetta Sgarbi ha annunciato la prossima pubblicazione da Bompiani) è dedicato alle donne sovietiche al fronte nella Seconda guerra mondiale; in Ragazzi di zinco (edito in Italia da e/o) la scrittrice ha raccontato la guerra russa in Afghanistan con gli occhi dei reduci sovietici e delle madri dei caduti. Il libro viene accusato di disfattismo e la scrittrice, portata in tribunale, viene salvata dalla mobilitazione di intellettuali e organizzazioni per i diritti umani.
La scrittrice commentando la notizia del premio, che l’ha raggiunta mentre stava stirando, ha detto “Mi sono subito sentita circondata da grandi ombre, come Bunin o Pasternak, è un sentimento da un lato fantastico e dall’altro inquietante”.
Dai commenti sulla sua opera e dai seppur frettolosi reportage contenutistici sui libri già tradotti da anni anche in Italia, mi pare che sempre più la Commissione dei Nobel opera scelte importanti come impatto storico-sociologico ma che magari trascurarono l’aspetto puramente formale.
I racconti di Svetlana Aleksievic certamente mettono in evidenza drammi e ingiustizie dei nostri tempi, ma assomigliano, per detta della stessa scrittrice-giornalista, più ad interviste oggettive che a tracciati narrativi.
Forse la cosiddetta “letterarietà” non è più al centro della Commissione dei Nobel che intende invece portare all’attenzione mondiale la sociologia della letteratura,
Ma anche per la nostra Grazia Deledda la motivazione del Premio verteva più sulla sua capacità di far conoscere un mondo definito arcaico, quello dell’allora Sardegna, piuttosto che le sue indubbie qualità di narratrice e scrittrice.
Forse dovremmo finire di considerare il Premio Nobel della letteratura come un premio al valore letterario ed accettare scelte che mettono in luce, insieme e grazie agli scrittori, anche un intero popolo, un periodo storico, una problematica sociale.
D’altronde queste opere vengono lette in traduzione così che le finezze letterarie introdotte con la lingua madre, spesso si perdono nonostante la bravura dei traduttori.