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EMILY DICKINSON, IL FASCINO DELLA DISCREZIONE (A 190 ANNI DALLA NASCITA, 10 DICEMBRE 1830)
09/12/2020, 18:14
A casa ero la più piccola
E scelsi la stanza più piccola -
La mia lampada fioca - di notte -
Un libro ed un geranio.
Così scrive, con matura consapevolezza, la poetessa statunitense Emily Elizabeth Dickinson nel 1862: pochi versi, di semplice e curata immediatezza, in cui condensa una personalità complessa, fatta di riservata introspezione, passione artistica e sintonia col creato – tratti che l’accompagnano sin da bambina.
Una vita appartata, la sua, lontana dal trambusto cittadino (Non mi riusciva di vivere nella/ confusione. Mi vergognavo del chiasso, 1862), povera di viaggi, stretta tra i pochi soliti affetti; una cosciente auto-reclusione che limita i contatti e privilegia il sogno come forma di evasione (I Sogni sono l’elusiva Dote/ Che ci fa ricchi per un’Ora, 1876).
Nel suo mistico e compiaciuto isolamento (Sarei forse più sola/ senza la mia solitudine, 1876), Emily coltiva l’amore per la parola evocativa, traboccante, che genera ponti con tempi e luoghi altrimenti inarrivabili: L’infezione nella frase si riproduce/ possiamo inalare Disperazione/ a distanza di Secoli/ dalla Malaria (1872-73).
Vittima di un irrisolto senso di inadeguatezza (Non mi sono mai sentita a casa - quaggiù/ e non mi sentirò a casa - nel bel cielo, 1864), l’autrice sfugge alla realtà e accoglie l’immaginazione come sua degna sostituta: Non vidi mai brughiera/ non vidi mai il mare/ ma so che aspetto ha l’erica/ e che cosa è un’onda (1868).
All’imprevedibilità dell’avventura, che si riserva al momento della lettura (Non c’è Vascello che eguagli un Libro/ per portarci in Terre lontane, 1873), preferisce la serenità campestre, nei cui ritmi stagionali trova conforto: contempla commossa l’avanzare di un Bruco (1878-80) e ammutolisce di fronte alla bellezza di un fiore, così gaio che disarma la mente/ come se fosse un Dolore (1879). La sua è una visione olistica in cui lo Spirito si apposta nella Carne/ come nel Mare i Flussi, e ogni frammento è parte di un tutto armonico.
Difficile il rapporto con la morte, che ricorre in modo ossessivo nella poetica della scrittrice: tempus fugit, e mentre corri- / ricorda - il secondo ti oltrepassa (1872). La vita è irrimediabilmente breve, e in questo esiguo lasso temporale così tanto - e così poco - è in nostro potere (1873). Certa è, tuttavia, la presenza di un altrove, un approdo impalpabile cui affidarsi: Questo mondo non è conclusione/ C’è un seguito - al di là/ invisibile - come la musica -/ ma concreto - come il suono (1864).
La poetessa di Amherst vi giungerà a soli cinquantacinque anni, lasciando al mondo una ricca eredità: Scomparire accresce/, scrive nel 1871, l’Uomo che corre via/ è tinto per un istante/ d’Immortalità.
Non è folle pensare che, eterna come i propri versi, Emily Dickinson vegli sul mondo da un remoto angolo di cielo, con la propria consueta e luminosa discrezione: Perché cosa sono le Stelle se non Asterischi/ per indicare una Vita umana? (1885).