Sei in: Rubrica Anniversari » LUIGI CAPUANA NEL CENTENARIO DELLA MORTE
LUIGI CAPUANA NEL CENTENARIO DELLA MORTE
12/01/2015, 16:56
Luigi Capuana a cento anni dalla morte. La “nuova” letteratura (la letteratura del Novecento tanto per capirci) trova una sua sede di dibattito proprio nel 1898. Un dibattito contrassegnato da una forte discussione su ciò che è stato definito Verismo. Ed è, appunto, sul Verismo che si focalizzano le discussioni. Verga e Capuana operavano il quel tempo. Come pure De Roberto. I Malavoglia viene pubblicato nel 1881. Mastro – don Gesualdo in volume dopo una revisione vede la luce nel 1889. I romanzi di Capuana escono tra il 1879 e il 1907: Giacinta, Profumo, La sfinge, Il marchese di Roccaverdina, Rassegnazione. I Viceré di De Roberto nel 1894.
Ma credo che l’attenzione vada spostata proprio al 1898. Luigi Capuana (Mineo, 28 maggio 1839 – Catania, 28 novembre 1915) pubblica un libro che anche a distanza di molti decenni ha un interesse particolare sia sul piano narrativo che su quello più direttamente teorico, in termini letterari, riferiti al Verismo e quindi alla nuova letteratura. Mi riferisco a Gli “ismi” contemporanei.
Capuana aveva dato già alle stampe romanzi significativi. In quello stesso anno pubblica, tra l’altro, Nuove “paesane” e Scurpiddu. Il primo è un testo di racconti. Il secondo rientra in quel mondo fiabesco al quale Capuana ha dedicato scritti di grande rilevanza linguistica e poetica. Racconti e fiaba nello stesso anno in cui esce un testo dove si teorizza un percorso letterario.
Gli “ismi” contemporanei pongono all’attenzione dei modelli narrativi sui quali la critica continua a discutere. Capuana è uno scrittore che ha consumato tutti i generi. Lo troviamo vicino a Eola con le teorie positiviste e naturaliste. Si allontana da questo e afferma una idea dell’arte come forma. Si avvicina alla tradizione recuperando e rivalutando, dopo una pesante stroncatura, Manzoni con i suoi Promessi Sposi. Lavora assiduamente alla fiaba, la quale resterà la sua ispirazione più importante. Era convinto che soltanto attraverso le fiabe sarebbe rimasto legato il suo nome.
Ma la cosa più emblematica è una sua dichiarazione di avvicinamento al Futurismo. Prendendo le difese del romanzo di Marinetti Mafarka il Futurista nel 1910 su “Critica Nuova” fa questa affermazione: “Se era l’età mi consiglia di tenermi in disparte il ribello di una volta si compiace di stare a guardare e ad ascoltare quel che fanno e dicono i giovani”. E poi sottolinea: “Se avessi cinquant’anni di meno io mi dichiarerei futurista”. Capuana muore cinque anni dopo all’età di 76 anni.
Gli “ismi” contemporanei segue, comunque, il saggio Per l’arte apparso nel 1885 nel quale Capuana fa una sintesi della sua scrittura e del Verismo. Gli “ismi” contemporanei costituisce un testo – laboratorio che guarda e medita su ciò che è avvenuto nella letteratura ma prende lo spunto per individuare un nuovo itinerario.
Ci sono due saggi, che hanno una loro valenza di fondo sia per una discussione ideologica che creativa. I due saggi hanno questo titolo: “Idealismo e cosmopolitismo” e “La crisi del romanzo”. Capuana giunge alla conclusione che “l’opera d’arte è forma soltanto e nient’altro che forma”. C’è una convinzione che si contrappone a ciò che ha teorizzato prima il Verismo e successivamente il Realismo. Una convinzione che non è ideologica ma semplicemente letteraria. Ci dice che la letteratura è una cosa ed ha bisogno delle sue contrassegnazioni teoriche, poetiche e avventuristiche legate ai personaggi, mentre, una cosa diversa, è scrivere saggi. È molto esplicito in questo: “Tutti coloro che vogliono esprimere puramente un concetto…facciano dei trattati, delle conferenze, degli opuscoli, delle prediche magari, ma non si servano del romanzo. La forma, cioè la creatura viva, è assai più complessa del pensiero astratto”.
Pone in risalto il personaggio. Mi pare che questo sia già un elemento di rottura con quella sua prima esperienza che portava in primo piano la classificazione dell’ambiente attraverso le definizioni del Naturalismo. Il personaggio è, dunque, nel destino del romanzo e diventa il reale protagonista nel rapporto tra l’io narrante e lo scrittore stesso.