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IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI PADRE FRANCESCO STEA: UNO SCRITTORE NELLA CARITAS

05/08/2015, 12:52

Siamo al centenario della nascita di padre Francesco Stea. 1915 – 2015. Ho ripassato le pagine di alcuni suoi libri. I suoi libri ultimi compresi ciò che usa chiamare “Memorare” dove i personaggi incontrano gli anni e il viaggio e il suo romanzo dove campeggiano Padre Pio e il suo viaggiare in Magna Grecia.

Una metafisica nella storia. Può accadere? Certo. Perché? Siamo tutti dei vissuti o “sopravissuti” che abitiamo quel tempo che ha il segno di  un “solco sotto traccia”. Sotto traccia non ci sono le parole, perché le parole si consumano nella storia e il racconto è la percezione di una metafisica che intreccia la possibilità dell’oblio e la metafora.

Il romanzo, perché credo che nel romanzo ci sia il vero diario di un vissuto, di Francesto Stea è un archetipo in un pellegrinaggio che conduce verso l’eremo della speranza che legge la sapientia come essere “raminghi per virtù”. Solco, traccia, virtù nel camminamento dell’essere raminghi. Una filosofia dell’essere che è filosofia della vita e del tempo che intreccia il narrare con la ricerca.

Cosa è la metafisica in Stea. È la cerca, direbbe Masullo, del religioso che è cristianità alla luce non solo della Fortezza ma della Grazia. Il tutto attraverso l’ontologia della parola. La Paola è il senso e l’orizzonte del superamento della meta – storia.

Siamo sempre in cerca. Noi siamo la cerca di noi stessi e ci perdiamo smarrendoci perché, in fondo, restiamo raminghi tra le strade di una speranza che approderà alla provvidenza o alla perdizione. Sempre la provvidenza per Francesco Stea, padre dell’Ordine dei Minimi, ha segnato i suoi studi e il suo orizzonte in una classicità intrecciata tra mondo greco e mondo latino.

La sintesi di questo suo modello la si può recuperare proprio in quell’Orazio che è stato tanto studiato da padre Stea sino ad una interpretazione, che vive nel mondo classico, ma si fa interprete di una contemporaneità che è visione di tradizione e di tradizioni non solo nella lingua, in quella etnia di parole la cui traduzione non ha il senso della rigorosa manifestazione di una fedeltà al testo soltanto, bensì diventa una riproposta per confrontarsi con una modernità che ha consumato tutti i linguaggi.

In fondo Stea si definisce in Orazio con l’incisivo modello di un vichiano ritorno ad una eredità di immagini. Oraziano è l’incidere nell’immagine di un dialogare tra la realtà e l’ironia, ovvero tra il reale e la satira passando tra i labirinti delle Epistole e le Odi senza trascurare mai le Epodi.

Orazio Flacco. Osare di tradurre dice padre Stea. Certo, ma dietro questo concetto “visionariamente” dannunziano c’è sempre la volontà di riportare sulla scena il disegno del Mito. E questo lo fa molto bene attraverso la centralità mitico – simbolica e simbolico - sacrale di Vico, che viene letto con una dimensione in cui la metafisica diventa la percezione del significato della parola nelle parole che è significante del tutto esistere.

Il suo Vico ha una religiosità ben definita anche quando ci racconta San Francesco di Paola in una prospettiva letteraria, oppure quando racconta della sua Grottaglie e del suo Convento dei Paolotti o anche quando tocca la cifra urbanistica e antropologica di città come Sannicandro di Bari.

C’è una universalità per raccontare il particolare ed è come se legasse la tradizione carismatica dei padri della Chiesa con una visione guicciardiniana in cui le “istorie” diventano incisi sul falò della preghiera. Anche quando parla di Giuseppe Battista, il Barocco in Battista diventa poetica, padre Stea ha una sua sottolineatura in cui la spiritualità non solo è devozione, ma ancoraggio alla storia di un processo religioso.

Infatti, tra il Paolano e il Battista, dirà: “…Grottaglie, dove l'Ordine dei Minimi ha profonde radici sin dal 1536 con una sentita e mai sopita devozione verso il Santo di Paola e i suoi figli religiosi, qui, tornati dopo centotrentaquattro anni di deprecata assenza, in seguito alle inique leggi soppressive, in conseguenza delle quali, il vetusto e monumentale convento vedeva il più affliggente degrado e abbandono, non poteva mancare di dare l'accento poetico per la penna di un suo illustre figlio, Giuseppe Battista…".

Dunque. Piuttosto una metafisica dell’anima in un Barocco dell’esistenza da Orazio a Vico. Ma Orazio e Vico sono la Tradizione. Quella tradizione che si legge nel viaggio attraversato dagli scritti di Rosmini, Gentile, e Agostino Gemelli.

Pierfranco Bruni
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