Domenica, 22 Dicembre 2024 (SS. Demetrio e Onorato)

Sei in: Rubrica Anniversari » A CENTO DIECI ANNI DALLA NASCITA DI SANDRO PENNA

  • mail

A CENTO DIECI ANNI DALLA NASCITA DI SANDRO PENNA

06/04/2016, 15:10

Ci sono ambiguità nella poesia di Sandro Penna (Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977)   che vanno lette e la lettura non può che partire da dati prettamente letterari, ovvero poetici. La poesia come valore assoluto o come dimensione estetizzante. La sua esperienza poetica si colloca nella temperie cultu­rale caratterizzata dalle avanguardie e dalle riviste. I suoi rapporti con la poesia ermetica, nonostante tutto, furono intensi e giocati sul filo dell'ambiguità. Ma tutto il suo viaggio umano e poetico è un viaggio all'insegna dell'ambiguità.

      Nella sua poesia ci sono scatti improvvisi e una tensione lirica che ci riporta ad immagini  pascoliane e più propriamente si ascoltano deriva­zioni sabiane. Umberto Saba infatti, come da più parti ribadito, resta un poeta con il quale Penna ha sempre trattenuto un legarne stretto. È Saba a leggere le sue prime poesie. È Saba a dargli i primi consi­gli e i primi suggerimenti. Un percorso importante in una temperie storica e letteraria complessa.

      Il suo primo libro di versi risale al 1939 dal titolo Poesie. Seguono Appunti, Una strana gioia di vivere, la raccolta completa di Poesie, Croce e delizia, Tutte le poesie (è del 1970 e raccoglie tutte le raccolte precedenti), Stranezze, Il viaggiatore insonne, Rombo immenso e Confuso sogno. Queste ultime tre raccolte escono postume. L’ultimo titolo è una estrema metafora del gioco eros e tempo.

      In Sandro Penna è come se si rifiutasse il mondo degli adulti. Ma non come succe­de in Pascoli. Non come succede in Saba. Il suo rifiuto è totale. È una poesia fatta di sogni. La realtà è altrove anche se Penna dovrà convivere costantemente con la realtà. Ma il fanciullo di Penna è un "confuso sogno". Perché è soltanto nel “confuso sogno” che la realtà può farsi fantasia e servirsi delle piccole metafore che accompagnano la vita. Non abbandona neppure per un istante la gioia di vivere. È in questa gioia di vivere che la tristezza viene ad essere sconfitta. La sconfitta della tristezza apre spazio alla grazia.

      C'è anche un dato che ci porta sul versante puramente critico. In Penna il realismo, se di realismo può parlarsi, non si traduce mai in impegno. È lontano da ciò che negli anni passati veniva indicato con il termine di poesia impegnata. È una poesia della "vaghezza". È una poesia che gioca all'in­terno della problematicità stessa dell'esistenza. E si fa atte­sa. L’attesa è un tracciato nel tempo. In quel tempo che esplode con voci di ricordo.

      Il tema del viaggiatore è appunto un tentare di penetrare l'ansia di un'attesa. È un'attesa mai colma. Proiettata nel futuro come è sempre proiettato nel futuro il viaggiatore. “Il viaggiatore insonne/ se il treno si è fermato/ un attimo in attesa/ di riprendere il fiato/ ha sentito il sospiro/ di quel buio paese/ in un accordo breve”. Versi che non smetto mai di ripetere perché hanno un respiro profondo e una visione estetica abbastanza proiettata verso il senso del bello.

      Il tema dell'attesa è, dunque, un corollario importante. Ci sono altri segmenti che affollano l'itinerario poetico pennia­no. Per esempio l'infanzia, i paesi, l'estate e i personaggi. Pensiamo ai bianchi marinai. Pensiamo nuovamente ai fan­ciulli, pensiamo alle metafore del viaggiatore. Perché forza­re la mano su poesie che vengono ritenute "scandalose"? Non è questione di pudore ma di penetrare quei tessuti letterari che sono un insieme di modelli lirici e stilistici in termini anche di proposte semantiche.

      Il fatto sta nel costatare la resa stilistica. È qui il punto. Occorre meditare con il coraggio della criticità se si vuole rendere realmente giustizia a un poeta. Occorre parlare di un poeta non solo nella sua complessità ma anche nella sua totalità. Allora mettiamo a confronto due poesie. Ecco la prima: “Io vivere vorrei addormentato/ entro il dolce rumore della vita”. È un distico stupendo. Emana una lucentezza veramente senza pari. Una poesia unica nel panorama del Novecento. Ecco la seconda: “Lascia l'orinatoio il giovanotto/ col membro ancora fuori”. Si tratta di versi banali oltre che brutti.

      Pongo una proposta di riflessione. Non è questione di fare una cernita delle poesie "umilia­te". Non é assolutamente questo il problema. Il problema consiste, invece, nella scelta tra poesie che reggono ad una tensione lirica, poetica, magica e poesie che non hanno resa alcuna. Mi riferisco a un dato puramente poetico. O meglio, il discorso andrebbe spostato non tanto sulla poesia in senso globale quanto sui versi. Ci sono poe­sie, come quella appena citata, la cui tensione si arresta proprio per­ché subentrano termini che sono privi di una loro forza poe­tica. Bisognerebbe, comunque, dire con onestà che in Penna non tutto può avere una tenuta poetica. Ma dove è poeta Penna ha uno stile inconfondibile.

      Penna, certamente, grande poeta, come abbiamo dimostrato nel Comitato del Mibact da me presieduto, ma è anche un poeta, come tutti i poeti, che vive diverse stagioni. Nel suo percorso non c'è assolutamente una omogeneità. Bisognerebbe osservare allora le prime  poesie, quelle giovanili, per ren­dersi conto dell'evoluzione. D'altronde, le varianti testimo­niano questa inquietudine. Ecco dove si respira la vera poesia: "La vita... è ricordarsi di un risveglio/ triste in un treno all'alba: aver veduto/ fuori la luce incerta: aver sentito/ nel corpo rotto la malinconia / vergine e aspra dell'aria pungen­te". Ecco, invece, dove è discutibile: "Nell'orto di una villa c'è un ragazzo/ brutto, che guarda trasognato il suo/ sesso innalzato". Oppure: "Nudo piegato sulle gambe, usciva,/ dal suo corpo la cosa giornaliera./Gridò più volte, e con minore angoscia/ si risenti nel mondo e nella noia./ Guardò il sesso che apparve umile e assente./ Altra cosa pendeva: e fu con gioia,/ quasi con gioia. che guardò l'immota/ immagi­ne invocata...". Non credo che si possa impostare un confronto tra estetica della parola e poesia in un testo del genere.

      Il discorso, certamente, è complesso e va meditato ma una distinzione bisognerebbe pur farla. E la distinzione non consiste, come si è già detto, nel distinguere le poesie scan­dalose da quelle "pure". Ma il compito di chi fa critica e legge il testo deve saper anche modulare dei parametri di “giudizio”. Sempre giudizio critico letterario e non di altra natura. Perché è sul valore poetico che il discorso deve ampliarsi.

      È vero, i suoi versi nascono da una forte passionalità e da esperienze che si fanno testimonianza. Esperienze vissute e sofferte entro i limiti della propria coscienza e della propria esperienza esistenziale. La poesia è passione. È magia. È grazia. Non può essere razionalità. Non può neppure essere descrizione. E qui il discorso va articolato e le riflessioni hanno una loro precisa peculiarità sia in termini direttamente poetici che estetici. Riflettiamo, quindi, sui modelli estetici e quindi sulla poesia.

      Proponiamo elementi che abbiano una loro stesura poetica. Il Penna delle ambiguità presenta una eterogeneità di aspetti. Ed è su questo che l’attenzione andrebbe focalizzata. C’è un Penna fortemente cadenzato in una dimensione estetico – lirica. C’è un Penna che mostra una caduta letteraria che diventa caduta di stile poetico. Ma il poeta chiaramente è ben visibile come è stato, d’altronde, già ribadito.

Pierfranco Bruni
Foto (3)

Media

stilefashion
viverecongusto
terraecuore

Apri un portale

Newsletter



Lavora con noi

Contatti

redazione@portaleletterario.net

facebook twitter