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VINCENZO CARDARELLI. UN POETA DIMENTICATO

Cento anni fa pubblicava i suoi "Prologhi"

12/08/2016, 19:24

Nel numero 7 (luglio 1959) della rivista “L’osservatore politico letterario”, dedicato a Vincenzo Cardarelli (Corneto Tarquinia, Viterbo, 1887 – Roma, 1959), G. Titta Rosa sottolinea l’importanza dello “stile popolare” e il “gusto dell’arte” che vibrano nella poesia e nella prosa di Cardarelli. La nostalgia del tempo e la malinconia dei paesaggi (i cui luoghi non sono, in Cardarelli, soltanto luoghi geografici, bensì luoghi dell’infanzia, della metafora di una memoria che riporta immagini e sensazioni e queste si trasformano in leggeri ricordi portati a spasso dal vento, da quel vento che ha tocchi di antiche civiltà) sono un viaggio che la poesia compie tra i sentieri incantati dei miti.

Gli Etruschi (i veri antenati di Cardarelli e della sua terra: Tarquinia), l’Etruria, la civiltà del pae-se, il ritornare al paese e il simbolizzare il paese come una eredità, sono elementi di una poetica i cui temi fondamentali sono tutti giocati sul sentimento del ritorno e sulla allegoria del viaggio. Ma è la nostalgia la componente fondamentale non della sua ricerca (in Cardarelli non si parla di ricerca poetica ma di orizzonte poetico e di tensione lirico-sentimentale-onirico) ma dei suoi segni archetipici.
L’amore e il tempo, la partenza e l’attesa, il sogno (che non è il sognare soltanto ma è la “frase” della fantasia e del fantasticare nell’isola della crea-tività che assorbe il vissuto) e il ricordare sono percorsi di un labirinto dentro il quale la poesia si fa dolore – vita – grazia – magia. I suoi Prologhi (1916), celebrano appunto il centeranio della prima edizione, i suoi Viaggi nel tempo (1920), le sue Favole della Genesi (1919-1921) e poi quel Sole a picco (1929) riportano con la poetica del viaggio ciò che Titta Rosa ha chiamato “sapienza antica”.

Tutto ha il sapore delle radici. Il senso dell’appartenenza alla Patria è un radicamento forte. Perché per Cardarelli radici significa appunto radicamento. La storia che si trasforma in memoria è un altro tassello di questo radicamento in una “passeggiata” tra i simboli che lo catturano. Il tema dell’amicizia e dell’identità è un progetto esistenziale ed etico che si raccoglie tra i segni del mito e del rito (si pensi, a tal proposito, alla poesia intitolata “Camicia nera” da Poesie disperse, anche se il linguaggio e i toni sono aridi e poco lirici ma sul piano letterario e linguistico, al di là del contenuto che resta, è una “prova poetica”).

E poi le parole hanno una bellezza non tanto solare ma piuttosto lunare. La luna, in Cardarelli, è la metafora della luce che ha toni scuri e nella sua luce c’è l’assorbimento del tempo antelucano, del sole che è stato (“saluto nel sol d’estate/la forza dei giorni più uguali”), dei meriggi (quei meriggi estivi?), dei tramonti (quel penetrare l’autunno e l’ottobre?), delle stagioni che salutano (“Benvenuta estate./Alla tua decisa maturità/m’affido”).

E il sole è nella luna. La luna come melanconia e strappo del tempo lungo i giorni che sembrano coriandoli appesi alle età del vivere. Ma cosa è la poesia per Cardarelli? In una sua sottolineatura ha cesellato: “La mia lirica (attenti alle pause e  alle distanze) non suppone che sintesi. La luce senza colore, esistenza senza attributo, inni senza interiezioni, impassibilità e lontananza, ordini e non figure, ecco quel che vi posso dare”.


L’essenza nell’intreccio dell’esistenza del dolore e della consapevolezza. Ma anche della meditazione sul viaggio che si fa tempo e sul tempo che è viaggio. In quel suo riscoprire il senso dell’orizzonte delle origini, la parola non è una cronaca ma una metafisica che si aggrappa all’anima e la poesia che non si rappresenta mai è soltanto il “racconto” o la recita lieve della testimonianza di una spiritualità nel paesaggio stesso dell’anima.
 

Pierfranco Bruni
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