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RODOLFO VALENTINO, A 90 ANNI DALLA MORTE, POETA OLTRE L'ATTORE
23/08/2016, 00:52L’amore, la passione, il sentimento. Sono tre caratteristiche vitali non solo nell’esistenza ma anche nella poesia di Rodolfo Valentino.
Poesie. L’amore, la passione e il sentimento. Sogni ad occhi aperti (Newton Compton Editori). Anche poeta. Certamente. Un poeta che ha saputo legare le radici mediterranee con la civiltà americana. Le rimembranze sono i suoni di una conchiglia nel tempo dei ricordi. “Un ricordo d’infanzia,/Una piccola, fragile cosa./Evocata/Dalle piume di un’ala colorata/Sulla tela/Della mia mente sfinita./Che cresce,/Dolce figura del passato/E vedo,/Te! Giunta alla suprema/Perfezione dell’anima,/Il tenue ricordo custodito/E’ giunto alfine/Al suo traguardo”.
Rodolfo Valentino, il mito del cinema che è espressione di sguardi, di modelli gestuali, di assonanze liriche in cui la danza e le movenze del corpo sono modelli espressivi. Il simbolo che ha proiettato la cultura estetica della gestualità nel sogno dell’immagine. Il suo immaginario continua a vivere in un rapporto che è singolare tra cinema e letteratura e linguaggio poetico. I sogni sono un intreccio tra il suo apparire e il suo essere. Quei “sogni ad occhi aperti” sono un viatico nelle età del suo vivere. Del suo breve vissuto. E nei sogni ondeggiano sempre le ombre. Quelle “Ombre – grigio simbolo di una fede spezzata”.
Che cinema avremmo avuto senza letteratura o meglio che cinema ci sarebbe stato se la letteratura non fosse entrata nella celluloide? Questo è uno dei quesiti importanti ai quali bisognerebbe trovare una sistemazione critica non solo dal punto di vista scientifico ma anche letterario. Ebbene, Rodolfo Valentino che non è solo il mito della celluloide o del belletto proiettato attraverso le immagini, rappresenta un trattato di unione tra la proiezione delle immagini e la parola. Non bisogna dimenticare che Valentino è l’attore non solo de “I quattro cavalieri dell’Apocalisse” del 1921, in cui il fascino latino è ben rappresentato o di “Sangue e Arena” del 1922 o ancora de “Il figlio dello sceicco” precedentemente.
È l’attore che ha portato ad una chiave di lettura Balzac e Dumas figlio. Infatti, è stato l’attore de “La commedia umana” tratto dal romanzo “Eugenié Grandet” di Balzac. Ed è stato il protagonista maschile del film “Camille” di sua produzione, tratto dal testo di Dumas figlio., e de “La signora delle camelie”. Quindi il Rodolfo Valentino mito dell’immagine dell’eros, dell’ambiguità della bellezza, del fascino esoterico, è un personaggio vissuto dentro il rapporto tra cinema e letteratura. Senza mai dimenticare l’incontro con la poesia. Rodolfo Valentino ha scritto poesie. Versi nei quali si lasciano ascoltare le malinconie e i suoni di una giovinezza ma anche gli echi di una profonda malinconia. La malinconia dell’essere e del tempo. E’ proprio vero che la giovinezza si misura sempre con il tempo. Ed è proprio vero che “Valentino possedeva una forte inclinazione verso la poesia e la condizione esistenziale del poeta”. Così scrive Paolo Orlandelli.
Rodolfo Valentino nato, appunto, a Castellaneta il 6 maggio 1895 e muore il 23 agosto del 1926 a New York. Lascia la sua città nel 1913. Uno dei suoi primi film risale al 1918. Sostanzialmente il percorso di questo attore poeta (si perché anche di poeta si tratta in quanto ha lasciato una bella raccolta di versi che si legge come un racconto lirico di un pensiero estetico rivolto alla bellezza, alla memoria, e al tempo) va da quella cultura ben radicata nella Puglia mediterranea (Castellaneta è centro di cultura mediterranea con la sua storia territoriale e geografica e marina) sino a quel grande mare che è l’Oceano. Rappresenta in altri termini il percorso di una mediterraneità all’interno di una America ben profondamente occidentalizzata e italianizzata. Ma il mito greco di Valentino è un mito esoterico, è un mito in cui le muse e le dee sono elementi sentimentali ben radicati nell’essere mediterraneo.
Nella presentazione di un libro di Guglielmi Morone e di Miredi dedicato a Valentino, Giuseppe Conte nella introduzione sottolinea: “Valentino, arrivato in America da una terra che è dirimpetto alla Grecia, trasforma il suo Pan in Penna Nera, scegliendolo come spirito guida, per rientrare, forse, in quella dimensione dell’essere in cui ciascuno sente in sé l’intera energia dell’Universo”. Una chiave di lettura estetizzante che ripropone il mito tragico dell’assenza-presenza di un tempo perduto che segna tracciati di morte e di vita. È come dire nel pathos di una malinconia generale che Eros e Thanatos non si consumano ma si intrecciano. Questo personaggio mito che sembra uscire da uno dei “sette colori” di Robert Brasillach resta nel vento di una giovinezza mai usurata perché per chi muore giovane la morte non esiste in quanto è il tempo che la uccide e non viceversa. Proprio come nel racconto della immortalità ellenica tra le muse e le dee. Non si scende nel gorgo muto caro ad un’altra giovinezza troncata come Cesare Pavese ma si resta nell’armonia disarmonia di un tempo che non smette di raccontarsi.
E il cinema questa macchina delle finzioni e delle fantasia, non è un trucco ma è come se fosse un fantasma che sblocca l’istante. Il cinema ha bloccato l’istante di Valentino e ce lo ripresenta costantemente nella sua bellezza, nella sua apparenza mitico temporale. Se dovessimo penetrare queste storie che vivono dentro il rapporto tra cinema e tempo non si potrebbe non ripensare o non riconsiderare la figura di Rodolfo Valentino nella sua straordinaria esuberanza accanto a quella di Marylin Monroe pure a distanza di decenni. Ma con Valentino eravamo al cinema iniziale , al pre - cinema, dove la parola era lo sguardo, il gesto, il corpo e tutto questo insieme era comunicazione. In fondo il cinema che si racconta con la sua critica con la sua estetica trova in Rodolfo Valentino quel protagonista al di là di ogni recita. Resta il fatto, comunque, che in quegli anni cruciali l’attore aveva saputo ben impersonare quelle maschere pirandelliane e dannunziane che successivamente sono stati i riferimenti per un cinema che superava l’ambiente e la realtà a conferire alla sensualità e alla bellezza il racconto più profondo. Credo che la figura di Rodolfo Valentino vada rivalutata proprio in virtù di queste motivazioni.
Un attore è un personaggio di trasporto non solo in termini di fisicità ma anche sul piano culturale. Quei suoi film sono il portato storico di una cinematografia che ha condizionato generazioni ma nello stesso tempo sono l’esperienza di un cinema che non può, soprattutto in quegli anni, senza un confronto reale con la costruzione dei miti e con un dialogo che può nascere soltanto dai “paesaggi” della letteratura.
Valentino tra forme e fantasie, un mito che continua e che resta in quell’incontro americano che tanto deve alla cultura mediterranea. Di questo si è discusso a Castellaneta davanti a un folto pubblico. Città mai dimenticata da Valentino perché è madre-radice nella quale la partenza ha un senso se resta nel cuore quel sentimento di identità che ci riporta sempre alla dimensione del ritorno. D’altronde anche le sue poesie portano questa matrice. L’amore resta, comunque, al centro di una ispirazione che è attraversata da una costante malinconia. Così: “Tu sei la Storia dell’Amore e la sua Giustificazione./Il Simbolo della Devozione”.
Un RodolfoValentino non solo celluloide ma anche Pathos nella grecità delle muse che non vanno perdute. La tensione lirica, le emozioni, le passioni, le dediche affidate ai suoi versi sono segni tangibili di un processo non solo legato al cinema ma alla parola come elemento profondamente lirico. Il simbolico che ha una ombratura di ellenico: “O dolce rosa/Nel cui calice riposa/Il cuore del mio vero amore,/Non si chinarono gli déi a benedirti/Dall’alto dei cieli?/E a posare sulle tue labbra vermiglie/Una uguale copia di rubini./Fu lì che trovai/Gioiello raro/Il fiore del tuo cuore”. Dimensioni culturali che si incontrano in nome della parola e dell’immagine. I simboli non hanno schemi. La poesia è libertà d’animo. I versi di Rodolfo Valentino lo testimoniano.