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CORRADO ALVARO A 60 ANNI DALLA MORTE TRA IL LABIRINTO E LA GRECITA' DI "MEDEA"
07/09/2016, 13:32Il Mediterraneo come un luogo dell’esistenza. Nella grecità mai perduta che diventa identità. Ci sono tracce indelebili che segnano la vita e il tempo in un viaggio, dentro la metafora del labirinto, che è sempre più indefinibile. Corrado Alvaro è lo scrittore del "labirinto", è lo scrittore del "mondo sommerso" e delle "memorie", è lo scrittore dei viaggio.
Alvaro, indubbiamente, resta un punto centrale intorno al quale ruotano dimensioni della letteratura universale. Uno dei grandi scrittori che ha posto all'attenzione di questo nostro Novecento passato e costantemente presente il valore della tradizione Nazione – Patria - radici, anche attraverso modelli letterari puri, è stato indubbiamente Corrado Alvaro (San Luca 1895 – Roma 1956).
Un Corrado Alvaro, a 60 anni dalla morte, delle opere cosiddette "minori" nelle quali però l'idea dell'appartenenza è stata centrale. L'appartenenza ad una terra ma soprattutto intesa come difesa di una italianità profonda i cui codici sono innati in quelle radici fatte di norme e di significato di pensiero. Un testo fondamentale per capire di più il paesaggio dell'appartenenza è chiaramente Itinerario italiano. Un testo che risale al 1933. i radicamenti sono centrali nella sua letteratura.
La civiltà italiana dice Alvaro è la cultura della provincia che porta dentro di sé storia e modelli etici. Una testimonianza che si fa letteratura partendo da una ricerca di interpretazioni storiche basate sui valori della italianità. L'Italia ha un suo spirito e lo manifesta come testimonianza di un destino. Una cesellatura che sarebbe piaciuta ad Alvaro. All'Alvaro che scriveva: "C'è uno spirito italiano proprio nella pianura: facile ad accendersi, curioso di tutte le novità, e nello stesso tempo capace della più stretta regola e ortodossia. Quando si abbandonano alla fantasia toccano il gigantesco e il capriccioso".
Di tutto ciò Alvaro ne traeva considerazioni per un legame stretto tra sentimento, tradizione e testimonianza. Infatti la letteratura è una "categoria" che entra nel cerchio del sentimento sia per i valori espressivi sia per i processi esistenziali che racchiude. E per letteratura qui si vuole indicare un vasto sentiero dello scibile della cultura. Ma anche in questo caso ci sono parametri sui quali occorrerebbe riflettere con tanta pazienza e coraggio. Ci sono stati libri di letteratura che sono diventati testimonianza nella vita delle generazioni e hanno definito un percorso non solo letterario ma umano.
Identità, testimonianza, dolore. La grande tragedia di Medea di Alvaro è un testo emblematico. Già, anche per Alvaro, sapere tanto è dolore. Perché sapere è conoscere e conoscere non è assentarsi dalla vita. Scrive Alvaro: “Medea mi è parsa un’antenata di tante donne che hanno subìto una persecuzione razziale, e di tante che, respinte dalla loro patria, vagano sena passaporto da nazione a nazione, popolano i campi di concentramento e i campi di profughi.
Secondo me, scrive ancora Alvaro, ella uccide i figli per non esporli alla tragedia del vagabondaggio, della persecuzione, della fame: estingue il seme di una maldicenza sociale e di razza, li uccide in qualche modo per salvarli, in uno slancio disperato di amore materno”. Medea perde la nostalgia. Soltanto alla fine la riconquista ma viene ad essere percepita come metafora dell'abbandono.
Su questa linea è tracciata la interpretazione di Lunga notte di Medea di Corrado Alvaro che risale al 1949. Una Medea che è comunque consapevole che “la discendenza è tutto” e che la discendenza è il destino. Fa dire a Medea: “... non c'è più nessuno con me, se non il destino”. E’ una interpretazione riferita non solo a Medea ma alla dimensione del mito. E il mito non è la rappresentazione di qualcosa bensì il racconto della nostalgia.
Il personaggio di Medea, nell’opera alvariana, nella sua fisionomia e nella sua caratteristica Mediterranea. La poesia si fa mito e il mito esplora il desiderio di nostalgia ma anche di conoscenza. L’attualità espressa nel testo di Corrado Alvaro ha un suo senso soprattutto in un quadro di riletture del mito e del rapporto tra Occidente ed Oriente nel Mediterraneo. E’ filtrato con la capacità non solo del letterato ma anche del poeta che crea rivoluzionando, che rivoluziona il linguaggio creando immagini.
A tal proposito Maria Grazia Ciani riferendosi appunto ad Alvaro scrive: “… nel dramma di Alvaro si dice, alla fine, che ‘gli innocenti periscono’ e che ‘solo gli Dei sanno chi per primo ha fatto il male’. La favola moderna, come quella antica, pone il medesimo, inquietante quesito: se, nel dispiegarsi delle vicende umane, gli innocenti sono destinati a soccombere, allora, tra il Caucaso dell’oscurità e della barbarie e l’Ellade della razionalità e della luce, da che parte si trova la giustizia? Dove, la sapienza? Dove, la civiltà?”. Nel mito di Medea c'è indubbiamente anche quella tragedia dello straniero che raccoglie gli elementi di una cultura in cui il senso dello sradicamento è lacerazione di identità.
Identità, appartenenza e consapevolezza. L'abbandono della terra natìa ci porta ad una perdita di identità che può essere riconquistabile soltanto attraverso il sentimento della nostalgia. La sconfitta di Medea è anche nella sconfitta della nostalgia. Mi pare che Alvaro in questi termini sia in sintonia con le affermazioni sul mito date da Pavese. Il destino e la nostalgia sono le rievocazioni del Tempo e della Memoria. Un tempo della Memoria che parte appunto dalla Medea di Euripide e viaggia dentro diverse concezioni o chiavi di lettura. Quella offerta da Alvaro vive con accanto la contemplazione del mito e quindi di un mito fattosi già racconto. Perché questo mito è la risultante dell'affermazione dell'appartenenza.
In fondo Alvaro legge nella Medea non solo la vita e la morte ma soprattutto la riaffermazione di un codice di stile che è appunto nel valore del ritorno. Il mito della partenza e del ritorno sono elementi esistenziali presenti nell'opera di Alvaro e in Medea diventano riproposta di una identità non solo simbolica. In Avaro la Medea è memoria. La Medea di Alvaro nell'ultima battuta così si concede. “E dovremo vivere ancora. Toccherà ancora vivere. Solo gli Dei sanno chi per primo ha fatto male”.
Alvaro riaffida tutto agli Dei. I termini pavesíani sono ben distinti in questo viaggio che Alvaro ha voluto compiere nella definizione del mito. In realtà il mito è il “rimpossessamento” della identità della appartenenza. Medea recita nella lunga notte e in tutto il tempo del racconto tragedia regna l'attesa. Il sentimento dell'attesa ci pone davanti al dramma. La lunga notte si accorcia per diventare però l'infinito segno di una tragedia. Una tragedia che senza il mito non conosce durata. Corrado Alvaro ridefinisce questo luogo del mito ma riconsidera il rapporto tra Medea e Giasone come il penetrare i sentieri del dolore. Nosside dirà: “Perché è giusto, alla fine, che sapere tanto comporti un dolore”.
Medea si racconta così nella sua tragedia. Una tragedia che non appartiene ad un'epoca o ad una età. E’ una tragedia che diventa metafora e attraverso la metafora il simbolo è chiarificatone di verità. Ma il simbolo è anche nell'intreccio di quel ciclo vichiano che trova il suo punto di riferimento nella tragedia greca. L’indefinibilità del labirinto ci porta a vivere nel viaggio di quella grecità che recita un Mediterraneo che continua a vivere dentro le parole e dentro la vita.