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A 60 ANNI DALLA MORTE DI FILIPPO DE PISIS

Una grecità recuperata e la metafora del viaggio

22/11/2016, 18:22

La grecità e il sentimento della “vaghezza” del viaggio sono delle componenti fondamentali nel baluginio dei colori e delle “forme” che danno senso alla parola poetica di Filippo De Pisis (Ferrara 1886 – Milano 1956). Un artista nella sua complessità e nella sua completezza che attraversa il colore e la parola attraverso le metafore dei simboli e delle immagini. La poesia è viatico di un sentimento che ha sentieri naviganti tra sogni.
      Un poeta mediterraneo? Nonostante i luoghi della sua formazione De Pisis è un poeta della Mediterraneità recuperata ed espressa in una griglia di codici simbolici. Luoghi dell’anima. Luoghi del cuore. I segni della parola lasciano un tracciato i cui riferimenti ci portano, chiaramente, ad elementi la cui grecità diventa, appunto, una chiave di lettura significativa.
      Non si può disconoscere la presenza di un ulissismo che permea una dimensione lirica i cui connotati sono impressi dentro i codici della metafora. Versi come questi danno un orizzonte pregno di un tempo che non conosce la cronaca ma solo la memoria lungo i passi del viaggio.
      Così:

“Nel grigio mattino di domenica
pur nelle strade abituali,
son come un naufrago
che approdi a lido deserto
e tu mio cuore sei
il mare infido.
Nell’abisso dell’essere rifùgiati
e sentirai salir la voce d’oro
che ti chiamò talora
e rese più lieve la tua croce.
Dal profondo a te levo
la mia voce, o Signore”.

      Si tratta di una poesia dal titolo “Domenica”. Ci sono tutti i presupposti per un percorso di straordinaria rilevanza religiosa. Ma questa religiosità non può che fare i conti con la laicità del sentimento del viaggio. Il naufragio e la speranza sono moduli non solo tematici di un tempo dell’esistenza ma anche letterari.
      La letteratura in De Pisis non è una esperienza dell’arte o viceversa. Sono piuttosto due mondi che si intrecciano e il linguaggio poetico, in questo caso, è un linguaggio dell’attesa. Poesia dell’attesa, dunque. Certamente, perché essendo una poesia del viaggio assorbe nel tessuto sia l’attesa che la presenza. E tra l’attesa e la presenza c’è il limite del distacco.
      Grecità e religiosità sono l’alchimia del sacro. Come nella poesia dal titolo “Nautica”. Il mito è un ancestrale destino nella voce del poeta. Senza il tentativo di chiarificazione del mito diventa impossibile penetrare i segreti e il mistero della poesia. La poesia, in fondo, resta un mistero. Perché i simboli e i segni bisogna decifrarli e la poesia la si cattura nella decifrazione di alcuni codici che vivono in quel tempo della parola che è infinito e indefinibile.
      In De Pisis il senso di infinito e l’indefinibilità sono solchi. Il mito offre una chiarificazione. Anzi leggere le immagini che proietta il mito è cercare di penetrare quel tempo che non conosce la storia ma il tracciato della memoria inconfondibile pur avvolta nelle nuvole della provvisorietà. La grecità è espressione del tempo e non della storia.
      Così:

“E penso a le Parche,
a le inesorabile vecchie che filano,
a Nausica che va con le ancelle
alla fonte
(s’apre a un tratto
un largo orizzonte di spiagge
e verde mar risonante),
alla Grecia ospitale,
a miti eroi erranti
a campagne dorate”.

      Un vero entrare in quella dimensione della letteratura che si dichiara attraverso due punti che trovano proprio nella poesia appena citata una dimostrazione, in cui la forza poetica è, tra l’altro, esperienza esistenziale. I miti e il sublime della classicità. La figura di Nausica si lega chiaramente al tratteggio dell’ulissismo che campeggia come valore del viaggio e dà al viaggio la misura del tempo nello spazio.
      Una poesia fatta di immagini. Le immagini dominano lo scenario. La stessa parola è una penetrazione delle immagini. Se non ci fossero queste immagini neppure il verso avrebbe la sua tensione simbolica. Le immagini sono espressioni simboliche. Il simbolo è un archetipo. Un archetipo che si fa rivelazione “in questa notte truccata di luna” (dalla poesia dal titolo: “Barocco”).
      Oltre ai codici tematici nella poesia di De Pisis ci sono tocchi linguistici importanti che ci conducono allo stessono di una lingua e di una letteratura dalle assonanze semantiche elleniche. Un esempio è dato dalla poesia dal titolo: “Attimo”.

“Nella notte alta
Un fruscio
Sul canale che corre,
armonioso.
E’ una nera gondola che passa
taciturna.
L’accompagna il mio cuore
(un alito muove la tenda bianca appena)
e d’eterno si nutre”.

      Un ellenico vagare tra i mari della scomposizione dell’eterno fluire dei linguaggi.
Linguaggi che hanno un senso e hanno una condensazione del rapporto tra il graffio della parola e la trasmissione di una testimonianza tutta giocata sul sentire della disarmonia – armonia della metafora. E la metafora non è una intuizione. E’ un ascoltare il battito del giorno restando comunque lontano dalla cronaca – rappresentazione.
      De Pisis è oltre la cronaca perché la sua poesia è una poesia immagine – memoria. E proprio per questo si ascolta, nel suo verso, un camminamento che è viaggio. Un viaggio interiore. Un viaggio estetico. Il viaggio stesso è la metafora di una estetica. Il “paesaggio” delle parole forma una vera e propria impalcatura nella struttura dei linguaggi.
      In De Pisis il linguaggio è sempre una struttura simbolica e proprio per questo resta una metafora nella quale i tasselli del mosaico sono ricordi indissolubili. La metafora del viaggio è il viaggio nel viaggiare.

Pierfranco Bruni
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