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"Quando cado non sento l’abisso" : a cento anni dalla nascita di ANTONIO RINALDI

Un poeta nascosto tra le pieghe della grandezza

05/08/2014, 19:01

      Un anniversario di un poeta che ha raccontato i “tagli” delle memorie antiche. Antonio Rinaldi (Potenza, 1914 -  Firenze1982   ) è un poeta che nella parola ha inciso i solchi di una meditazione dell’attesa attraverso un pellegrinaggio nella solitudine. Un poeta nella riservatezza pur nello “strazio” di un linguaggio lieve e dolorante. L’illusione romantica foscoliana e la nostalgia leopardiana è come se facessero da sfondo agli scenari dei suoi versi. Scenari, bene inteso, tutti metaforici il cui immenso allegorico campeggia tra i paesaggi dell’anima e quelle fisici. Perché in Rinaldi ci sono anche i paesaggi che geograficamente disegnano o imprimono dei luoghi.

      Luoghi dell’età, luoghi del tempo, luoghi di un immaginario vissuto e che ritorna a farsi ascoltare con la tristezza e la tenerezza di una memoria mai assopita. In “Morte da Poesie (1958):

“Tutto ho bruciato per trovarti
ma non ti sento arrivare.
Sono lenti i tuoi passi
per lo stupore”.


      In una poesia dal titolo “Assenza”, sempre da Poesie, ci sono versi di una profonda ed emblematica visione esistenzialista la cui componente resta l’assenza.

“Se li vedi pensosi al fioco
bagliore della mia mente,
sappi ch’io sono assente:
io molto prometto e do poco”.


I suoi versi è come se fossero scavati nella roccia. Non si lasciano scalfire. I suoi “Fogli di diario” sono un camminare sul graffiato.
      Così con L’età della poesia (1969):

“Eccomi, disseccato,

senza più il falso schermo
delle lacrime pure
o del puro dolore,

sono entrato nel duro
nello spessore della vita”.


      Entrare “nello spessore della vita” è certamente penetrare il tempo dell’esistenza, ovvero è prendere coscienza del fluire di un rapporto incancellabile e indefinibile qual è, appunto, quello tra il tempo e la vita o viceversa. Ma il tempo e la vita non sono forse una uguale camminamento? La poesia rende straordinariamente metaforizzante e reale questo rapporto. Perché il tutto si conferma e si confessa nella dimensione della solitudine.
    
“Mi sorprende il dolore
di questi pomeriggi
avviati al tramonto,
il lagno delle greggi
sul sentiero di monte
contro la luce colma
e cadente del cielo.


Canta sola una voce
al cielo, disperata”.


      “Epigrammi dell’autunno”. E’ il titolo di questi versi struggenti che hanno richiami e assonanze disperanti. Un poeta non controluce ma nella luce di un dolore che non può che richiamarsi spesso come chiave di lettura di una intera esistenza. Versi e prosa ma non credo che sia possibile fare un vero e proprio distinguo.
      L’attesa, la mancanza, l’allontanarsi. Ecco, la distanza è il coinvolgimento che lega i “parametri” della su poesia, ovvero del suo inquieto lirismo sorseggiato con gocce di disperazione. “Solo che per me la disperazione, o come altro la si voglia chiamare, non è l’inferno, non è la bestemmia. Quando cado io non sento l’abisso: caduto, sono al fondo, e tutto è finito”. Così in questa “Poesia e verità” in L’età della poesia.

 

Pierfranco Bruni

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