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"I LIBRI E I GIORNALI SONO I MIEI AMICI E GUAI A ME SENZA DI LORO"
07/04/2020, 19:38
“Figurati dunque tu una ragazza che rimane mesi interi senza uscire di casa; settimane e settimane senza parlare ad anima che non sia della famiglia; rinchiusa in una casa gaja e tranquilla sì, ma nella cui via non passa nessuno, il cui orizzonte è chiuso da tristi montagne; una fanciulla che non ama, non soffre, non ha pensieri per l’avvenire, non sogni né buoni né cattivi, non amiche, non passatempi, non innamorato, nulla infine, nulla, e dimmi come può essa fare a non annojarsi. I libri...i giornali...il lavoro...la famiglia! I libri e i giornali sono i miei amici e guai a me senza di loro” .
Così scriveva Grazia Deledda il 23 febbraio del 1892 ad Epaminonda Provaglio, direttore delle riviste della casa editrice romana Perino.
Grazia ha 21 anni e descrive se stessa nella sua Nuoro e in famiglia.
In questo nostro tempo di chiusura casalinga e di azzeramento di contatti sociali e personali diretti, mi è venuta in aiuto la nostra Deledda con questa lettera.
Lei, mesi e mesi rinchiusa in casa perché le signorine di buona famiglia non potevano certo allontanarsi per lavorare o studiare o per svolgere una qualsiasi attività sociale al di fuori della chiesa, ma la mattino presto e sempre accompagnata dalla serva, o in campagna con il fratello.
I volti sono quelli della famiglia, le sorelle, i genitori, i fratelli e, come ci ricorda in “Cosima”, il romanzo autobiografico postumo del 1936, anche le serve.
Ma i veri amici, quelli che nutrono le lunghe giornate di noja (parola che riecheggia spessissimo nel corpo della lettera) e di solitudine, sono i libri e i giornali.
Con quanta riconoscenza leggo queste parole e le offro a tutti i lettori del portaeletterario.net che in questa nostra inusuale quarantena hanno riscoperto il piacere della compagnia di un libro, di carta o anche digitale, secondo la disponibilità di ognuno.
Certamente Grazia Deledda ha saputo ben utilizzare quelle lunghe ore di chiusura casalinga, ha studiato, letto moltissimo, imparato a scrivere l’italiano come si fa con una lingua straniera, lei che parlava e scriveva in sardo.
Per lei quei lunghi giorni, mesi non furono vuoti o sprecati ma l’aiutarono a riempire di cultura i suoi sogni e a preparare solide fondamenta per il futuro di gloria letteraria che si prefiggeva.
Un bell’augurio, non vi pare?