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“UN BAMBINO DI SESSO FEMMINILE”
19/05/2014, 19:02
Nei documenti ufficiali del Comune di Nuoro del 1871 si legge: “il 28 Settembre alle ore due del mattino è nato a Nuoro un bambino di sesso femminile”. Così è presentata al mondo Grazia Deledda futuro Premio Nobel delle lettere italiane nel 1927 per il 1926. Unica donna tra i sei Nobel scrittori italiani, dopo Giosuè Carducci e prima di Pirandello, Quasimodo, Montale e Dario Fo.
Nuoro non l’ha mai amata, la gente sarda non poteva perdonarle di vivere al di fuori dei canoni della divisione dei ruoli rigorosamente sessista della cultura barbaricina: Grazia, infatti, non si dedicava ai lavori donneschi, non ambiva al matrimonio e poi scriveva storie di amore e di vendetta, con passioni a tinte troppo forti per una signorina per bene…Parte per Roma con sollievo, certa di andare verso il suo destino di gloria letteraria, portandosi la Sardegna nel cuore ma certa che era il mistero dell’animo umano ad interessare la sua penna.
Le fotografie più famose la presentano sempre con i capelli grigi, spesso dietro una scrivania con bamboline vestite in costume sardo; oppure con il volto più giovane ma imbronciato e severo. Certo l’iconografia non l’ha aiutata. Ma lei stessa si era presentata nelle numerosissime lettere che andava scrivendo a tutti gli editori, giornalisti, uomini politici, regine e contesse, insomma al mondo che contava, per proporre la propria opera, per autopromuoversi : “Le farò la mia silhouette in due o tre righe. Ho vent’anni e sono bruna e un tantino anche…brutta, non tanto però come sembro nell’orribile ritratto in prima pagina di “Fior di Sardegna”. , scriveva al Provaglio nel 1892; ed al famoso editore Emilio Treves: “Ad ogni modo presentandomi a lei, con molta fiducia, le dirò che sono una fanciulla, posso dire un’artista sarda, piena di molta buona volontà, e di molta fede e coraggio”.
Così la Deledda accosta sempre la descrizione della sua fisicità al progetto culturale al quale si sentiva destinata. In numerose lettere mette sopratutto in evidenza il suo sguardo e gli occhi, che altrove chiamerà: dalla “doppia pupilla”, ricordando un famoso bronzetto nuragico ed anche la fascinazione femminile che passa attraverso lo sguardo delle protagoniste dei suoi romanzi. Sebbene proprio le donne, le zie, fossero tra le prime a criticarla negativamente, non v’è dubbio che il personaggio femminile è sempre centrale nei romanzi di Grazia Deledda. Non a caso nel 1916 Eleonora Duse imporrà alla produzione il romanzo deleddiano “Cenere” (1904) per interpretare l’unico film col personaggio drammatico e stupendo di Olì, la madre che sceglie la morte per non disonorare il figlio.
Ma la donna deleddiana porta anche la morte, come Annesa ne “L’edera” (1906) che soffoca il vecchio zio asmatico perché possa lasciare l’eredità al suo amante; la donna deleddianna segue l’eros che scardina le regole sociali: così Marianna Sirca (1915) nel romanzo omonimo, impone al suo amante il bandito Simone Sole, di consegnarsi alla Giustizia, contravvenendo così ad un tabù della legge atavica barbaricina; Agnese, l’amante del prete don Paulo in “La madre” (1920), chiede al suo uomo di lasciare l’abito per coronare il loro amore davanti a tutti; Maria Maddalena, amante del cognato Elias Portolu, lo supplica di lasciare il seminario e pubblicamente sposarla adesso che lei è diventata vedova, ecc.
La vita e l’opera della Deledda testimoniano una grande forza di volontà, una visione chiara e inequivocabile del suo destino di donna, segnato dalla scrittura. Grazia Deledda, prima voce registrata dalla radio nazionale dopo il premio Nobel, così dichiarò:” Sono nata in Sardegna. La mia famiglia era composta di gente savia, ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità e aveva anche biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui contrariata dai miei”.
E per raggiungere il suo obiettivo, seppe lottare con forza contro gli stereotipi e i pregiudizi che pesavano sulla sua persona, in una società maschilista e chiusa come era quella barbaricina di Nuoro. Allora come ora, forse.
“Molti mi credono una creatura fantastica, strana e aristocratica, altri invece mi prendono per una maestrina in una scuola comunale di montagna. Non sono nulla di tutto questo. Sono semplicemente una signorina qualunque piena di buon senso comune, una piccola signorina bruna, con begli occhi neri, così piccola e sottile e lieta da sembrare una bambina. Appartengo ad una famiglia di quei principali sardi che io metto spesso nei miei racconti, gente bizzarra, tra il patriarcale e il selvaggio che non appartiene né alla borghesia né al popolo né alla nobiltà…Io studio e sempre molto: aspiro alla celebrità, non lo nascondo, e spero di riuscirvi “. Così Grazia Deledda a 23 anni scriveva a Giovanni De Nava, un suo estimatore : un bell’esempio di lungimiranza nel credere nel proprio destino!