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LA POESIA DI LUCIO ZANIBONI,L'ESALTANTE BELLEZZA DEL CREATO E DELLA VITA

03/02/2022, 17:47

“L’allegoria del vento” più che una silloge che come dice l’etimo, tiene legati qualcosa di diverso e separato, è invece un opus continuum, un ininterrotto dialogo con se stesso, con il mondo dei vivi e dei morti. Un lungo poemetto che soltanto un poeta vero poteva ancora concepire. Oggi che l’abitudine alla visualizzazione dei “messaggini” sembra aver atrofizzato anche molta poesia, che spesso si esibisce in asfittici sms.
“Quest’atomo opaco del male” utilizzato dal poeta in una delle liriche d’apertura, ci mette sull’avviso di una delle tematiche fondamentali approfondite poeticamente da Zaniboni: il rapporto dell’uomo con la natura. Non a caso infatti cita l’ultimo verso della famosa poesia “X agosto” di Giovanni Pascoli, il poeta che alla natura si è ispirato tante volte. Ma proprio il “X agosto” è l’indimenticabile ricordo del padre di Giovanni morto prima di poter riabbracciare i figli.
Zaniboni incrocia spesso la memoria di chi non c’è più con la desolata constatazione del tempo che fugge. La natura diventa rifugio, consolazione ma anche ricchezza da difendere e preservare.
“Dei malanni del mondo/ risente la natura./ I monti, come i titani,/ hanno perso le forze/ la terra frana./ Nessuno raccoglie le foglie,/ il terreno non assorbe,/ l’acqua tracimando a valle/ tutto travolge”. È solo un esempio di versi coinvolgenti che descrivono tragedie ambientali, inondazioni e “malanni del mondo” cui purtroppo la scellerata gestione del pianeta ci sta abituando.

 

Chi si accosta alla poesia di Lucio Zaniboni si trova di fronte spalancate visioni paesaggistiche di esaltante bellezza in cui è il fiume, “l’Adda lenta”, che appartiene alla biografia del poeta, a portare il messaggio di composta serenità e ricerca di tranquillità.
Ma è anche la distesa marina che brilla al sole, o luccica sotto le stelle e la luna; sono i campi sterminati di papaveri e girasole, sono il tremolio delle lucciole e il volo dei gabbiani.

 

Le poesie di Zaniboni rappresentano un viaggio a cui il poeta ci invita tra i valori più veri e intramontabili che l’umanità ha avuto in dono, in primis proprio il creato offerto dal suo Creatore non per essere violentato ma rispettato e goduto.
Contestualmente alla meraviglia davanti alle bellezze della natura, va un profondo spirito religioso inteso come l’espressione dell’intimo umano che si avvicina al mistero ultimo del perché della vita qui sulla terra.
Spirito religioso che si concretizza anche nella figura storica reale e divina del Signore, non un dio astratto ma il Dio cattolico che è morto sulla croce, il Cristo: “Piange il cielo/ del venerdì santo/ e io, Signore,/ appeso alla tua croce/in lungo tormento,/ attendo./ Unendo la mia alla tua voce,/urlo:/ perché mi hai abbandonato?”. Ed ancora: “Anche Cristo /si trovò a parlare al vento/ “Chi ha orecchie per udire/ oda!”.

 

Quest’ultimo verso mi dà l’opportunità di presentare un’altra delle figure simbolo che invena della sua presenza tutto il volume: il vento.
Come giustamente sottolinea Zaniboni proponendo il titolo del volume, il vento della/nella sua poesia non è soltanto l’espressione di un dato atmosferico, ma offre la possibilità appunto allegorica di accennare a percorsi più intimi, rimandi ancora una volta interiori e spirituali. Il vento è anche riminiscenza letteraria cosa non certo inusuale per un poeta colto come Zaniboni, come dimostra per esempio “Ora anche il vento tace/. È sera: è tornata la pace” di echi foscoliani e quasimodiani.
Oppure sempre il vento ci conduce nel mondo del mito anch’esso presente come entroterra culturale del poeta. Ecco dunque “Ha due volti come Giano/ il vento./ In uno, sorridendo/ leggero increspa il mare,/ smuove le vele, recando respiri morbidi/ di sale(...) Anche l’uomo ha due volti:/ il bene e il male, /sempre contrapposti”.

NERIA DE GIOVANNI

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