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"CRONACA DA MARIUPOL", RIFLESSIONE IN VERSI DI FRANCO ACHENZA SUL CONFLITTO IN UCRAINA
30/05/2022, 13:16
Chi resta getta l’anima tra le raffiche, chi corre fa ressa nei sottosuoli fino all’ultima sirena, chi azzarda sparpaglia il suo esodo. Su ogni immagine, ogni frammento, ogni sequenza di questo orrido film noi, quelli che stanno dall’altra parte, ma non troppo distanti da non sentire l’indottrinata e asservita cifra del delirio battere alla porta dell’Europa, mastichiamo i timori di un’aria crivellata.
Non è impresa agevole narrare la guerra, evitare retorica e tutto il già detto, ma il verso è da sempre incline al dolore, lo fa proprio per vocazione e spasimo, così capace-ci dice l’autore di coinvolgere e sollecitare il lettore non solo dal punto di vista emozionale, ma ancor di più attraverso una riflessione critica, antropologica, etica e sociale.
Cronaca da Mariupol è raccontare le macerie di una comunità profanata, simbolo dell’Ucraina moderna che si oppone al Donbass neosovietico, le macerie di un caffè all’aperto sul lungomare, le sue fontane, i parchi e i viali brulicanti di vita e di primavera operaia; raccontare le rovine post apocalittiche di una comunità di greci emigrati in Crimea, di un nome quale dono a Marija Fedorovna, moglie dell’allora principe Paolo. La dannazione di Mariupol, città di lapidi appostate sul mirino e di dimore mutilate dall’irruenza dei carri armati, è macabra via Crucis che cinge di nuova spina la corona dei conflitti bellici nel mondo, esempio, al contempo, dell’insensatezza di un’eredità di odio, supremazia e imperialismo che scuote il nostro senno in catalessi, assuefatto, vergognosamente, all’individualismo egoistico che ha smesso, anche per noia, di partecipare e abdica, ormai da troppo tempo, all’azione collettiva, passando, nel filo dell’abiezione, insensatamente, uno dentro l’altro.
Pur tuttavia in questo scenario che tutto inghiotte, il tamburo battente che violenta la notte, invoca, oltre frontiera, la speranza di un tempo diverso, un tempo che possa e sappia rovesciare il linguaggio ambiguo della nefandezza e far riaffiorare anche dai rottami rugginosi di stazioni ignote lo stupore di vivere.
CRONACA DA MARIUPOL
di Franco Achenza
Oltre la frontiera
tra rottami rugginosi
l’azzardo di un esercito sfrattato
sparpaglia il suo esodo
sale sulle rotaie
uno stupore affrettato
finche’ tutto inghiotte una cadenza ferrigna
fino all’ultima stazione ignota.
Chi resta
getta l’anima tra le raffiche
e corre a scatti fino all’ultima sirena
facendo ressa nei sottosuoli
La notte è un tamburo battente
e sulle strade spettrali
ogni angolo è una sfida
ogni crollo un cattivo presagio
In questa città di lapidi
appostate sul mirino
mastichiamo i timori
di un’aria crivellata
Mutilate le dimore
acerbe mani contratte
stringono pupazzi e fango
nell’ultimo strappo.
La cifra del delirio è tutta una piaga
aggiogata al lutto
asservita e indottrinata all’ingiunzione verticale
Nella dannazione delle risonanze
avvezzi al senno in catalessi
cingiamo di spine la corona
e nel filo dell’abiezione passiamo uno dentro l’altro
lasciando eredità insensate.
Raccolto il lascito della vergogna
ci sarà un tempo diverso
a rovesciare l’alfabeto delle contumelie
e il tempo delle nefandezze.